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Vincenzo D'Amico è nato a Latina il 5 novembre del 1954. Alto 172 cm. pesava 70 kg. E' stato ed è tuttora una "bandiera" della Lazio. Lui, Maestrelli, Chinaglia, Wilson, Re Cecconi, Manfredonia e Giordano hanno intrpretato e scritto come pochi altri la grande epopea della famiglia laziale. Con la "mitica" squadra di Tommaso Maestrelli e Giorgio Chinaglia, Vincenzo D'Amico ha vinto lo storico Scudetto del 1974. Fu Capitano della Lazio nella stagione 1985-1986. Ha giocato con i "biancacelesti" dal 1971 al 1980 (collezionando 155 presenze e 16 gol) e dal 1981 al 1986 (totalizzando 121 presenze e 24 gol). Si è ritirato dal calcio giocato nel 1988 e oggi è stimato e apprezzato opinionista televisivo. Fu considerato ala, centrocampista, trequartista. Anche seconda punta "d'appoggio". In realtà il suo talento ribelle rimase sempre libero di esprimersi in ogni zona del campo senza collocazioni tattiche definitive. Il "genio" non può essere nè limitato, nè circoscritto. Il "genio" va solo "sprigionato", assecondato. D'Amico fu tutto questo e altro ancora. Fu il "Van Gogh" del calcio italiano e uomo "assist" per "eccellenza". I suoi "calci" di punizione fecero Scuola tanto quanto il suo modo di vivere e interpretare la partita. Per quanto strano possa sembrare D'Amico non fu mai considerato abbastanza dalla nostra Nazionale. Un po' perchè stretto nella morsa della sua "incompresibilità", un po' perchè nessuno si ritrovava il tempo per aspettare la maturazione di un genio ribelle qual D'Amico certamente fu e, infine, perchè nel calcio schematico e granitico di allora la brillantezza di un astro nascente veniva sempre o quasi sempre guardata con "sospetto" e soprattutto con poca pazienza. Il tatticismo d'allora ha sempre bloccato sul nascere qualunque "estrosità".
Il giocatore
Il famoso
"10" biancazzurro è nato per divertire tifosi e platee di tutto il
Mondo. Anche per farli disperare. Fuoriclasse tanto "atipico" quanto
"irrequieto", per molti analisti fu il "Dejan Savicevic"
della grande Lazio di Tommaso Maestrelli. Di quella magnifica squadra
"scudettata" fu il "folletto", il "genio"
talvolta incompreso. In poche parole, la "luce". Croce e delizia di compagni, tifosi, stampa e forse
anche di se stesso,
"Vincenzino" ha lasciato il rettangolo di gioco da talento
"inespresso". Per qualcuno "incompiuto". E tutto questo più per "colpe" sue
che per "colpe" di altri. E' stato un grande. Su questo c'è poco da
dire o da aggiungere. Vederlo giocare era un piacere. Di certo avrebbe potuto
dare molto di più. A se stesso e al calcio.
A lui non potevi attribuire un ruolo specifico. Lui è nato senza ruolo.
Non era un'ala (anche se tale fu spesso definito), nè un "tornante",
nè una punta. Men che meno un centrocampista. Non fu una mezzapunta e neppure
un trequartista. Fu tutto e il contrario di tutto. Sulla trequarti stazionava
solo il tempo per inventare calcio. Poi tornava il D'Amico che tutti quanto
conoscevano e apprezzavano. Cioè ovunque e in nessun posto. Il suo gioco era
fantasia, imprevedibilità, leggerezza. Anche ribellione. Irrequieto e
"misterioso" fino all'osso per essere un Fuoriclasse unico e assoluto
avrebbe dovuto trasformare in "cultura" del sè le doti enormi che
madre natura gli ha donato. L'eterno conflitto tra l'essere e il non essere un
Campione lo ha devastato oltre ogni ragionevole dubbio impedendo, di fatto, a
quelle alchimie importanti che in lui avrebbero dovuto sprigionarsi per
migliorarlo, di creare il Mito.
L'emotività del genio
Il suo vero ruolo
fu non avere un ruolo. In partita appariva e scompariva a suo piacimento.
Presente e assente al contempo, si divideva tra voglia di giocare al calcio e
"ribellione" verso tutto quello che lo "circondava". Era dominato da "contorsioni"
emotive profonde e mai fini a se stesse; tipiche dei grandi
"pensatori". Le sue "pause" lasciavano di stucco come le
sue proverbiali" invenzioni. A suo modo diede la "stura" all'era
dei calciatori "naif". Quelli che giocano al calcio facendo
"tendenza" e che non sono riusciti nè riescono a fare della banalità
il loro cavallo di battaglia. Il povero Maestrelli cercò con cura e
amorevolezza di correggerne gli impeti. Invano. Maestrelli fu l'unico ad
instaurare un rapporto dialettico ed "emotivo" profondo e per certi
aspetti "dinamico" con
D'Amico. Maestrelli lo capiva, ne tratteneva gli impeti, ne addolciva e
caratterizzava l'arte pallonara. Lo guidava. Fu il "Nereo Rocco"
della Lazio e fece di D'Amico il grande giocatore che è stato. D'Amico fu
sempre ligio a se stesso ma a Maestrelli prestava ascolto. I due si volevano
bene. Il "10" biancazzurro era così.Prendere o lasciare. Nessun
allenatore al mondo avrebbe lasciato in panchina un Fuoriclasse simile o si
sarebbe precluso il privilegio di curarne la "crescita". D'Amico da
solo poteva indirizzare le sorti della partita in "corridoi" favorevoli
alla propria squadra o in "tunnel" di negatività agghiaccianti per se
stesso. Solo vedendolo giocare avresti capito. Solo "amandolo"
avresti potuto "odiarlo".
Caratteristiche tecniche
Il povero
Maestrelli impazziva di fronte alla sfrontata genialità di quel grande
giocatore. Fino all'ultimo cercò di contenerne gli eccessi e di disciplinarne
il gioco. Tattica o non tattica D'Amico eccelleva solo quando non gli davi
compiti specifici da svolgere. Lui era uno "spirito libero".
Trascinava la Lazio alla vittoria e faceva godere tutti: tifosi amici e tifosi
di altre squadre. Meno i suoi avversari. Marcarlo era difficilissimo. Non dava
punti di riferimento a nessuno. Pennellava passaggi al fulmicotone e dipingeva
triettorie inverosimili. "Astuto" nel breve trattava la palla come un
giocoliere. Il suo calcio "assurgeva" a sentenza. Vedeva e pensava il
"gioco" prima di tutti gli altri. Le sue finte ti facevano sedere. I
suoi dribbling ti lasciavano sul posto. In velocità non lo prendevi mai. Nei
sedici metri era devastante. I 20/30 minuti di grande gioco di D'Amico
divennero leggenda. "Solo" 30 minuti, ma di genialità pura.
Chinaglia, il bomber di quella mitica squadra, impazziva nel constatare
l'indisciplina tattica del suo numero 10. Wilson, il "Capitano" se lo
portava in campo quasi fosse suo figlio. Chinaglia più di una volta fu tentato
di fermare il gioco e dare un amorevole calcio nel sedere al suo talentuoso e
irrequieto compagno. Poi D'Amico si ricordava d'essere un Campione e decideva
finalmente di giocare come madre natura gli ha sempre consentito di fare. Le
sue erano le giocate del grande Campione. Di chi vive il calcio come il romanzo
di se stesso.
Il contesto storico
Il genio talentuoso
di D'Amico si affacciò nel nostro contesto calcistico nel momento più delicato
della sua "essenza". O del suo "divenire". Era ancora il
calcio delle marcature asfissianti ad "uomo", dei terzini che
facevano i terzini seguendo pedissequamente le ali avversarie, dei registi che
inventavano calcio senza curarsi della fase divensiva, dei mediani ch
eportavano l'acqua per tutti e degli attaccanti che sgomitavano in area contro
gli stopper avversari. Lo Scudetto della Lazio fece da spartiacque tra il
"catenaccio" e la "zona" spostando gradualmente, nel tempo,
gli equilibri tattici del nostro calcio fino al calcio dei "senza
ruolo" o senza tatticismi di oggi. D'Amico planò sul nostro calcio
d'improvviso. Come i bagliori del Sole quando fa breccia tra i chiaroscuri del
tramonto.
Claudio D'Aleo
Non concordo assolutamente con D'Aleo. Chiamare l'abatino della Lazio "Fu il "Van Gogh" del calcio italiano" offende un genio della pittura. Se poi Claudio vuol riferirsi alla vita del pittore, allora è "Vincenzino" che dovrebbe incazzarsi.
RispondiEliminaIl calciatore non aveva disturbi mentali, non si tagliò l'orecchio e non si suicidò a soli 37 anni.
😫
La colpa del titolo però è mia 😁. Secondo me ha fatto il paragone per via dell'essere artista atipico e irrequieto.
EliminaRiky, sto scherzando. Non ci sono colpe.
Elimina😀
ahha no, infatti, ho dimenticato le virgolette prima e dopo la parola colpa 😁.
EliminaComunque sono felice dei progressi del mio Milan. Riuscissimo a fare un po' di punti..la classifica langue ancora.
D'Amico è uno di quelli che quando lo vedo commentare le partite mi pare impossibile sia stato un calciatore :D Intendo proprio come aspetto fisico
RispondiEliminaVero :D, piuttosto "tracagnotto" come fisico :D
EliminaPer capire chi è stato Vincenzo d'Amico bisogna ever vissuto la Lazio di quel tempo e soprattutto averlo visto giocare nel rettangolo verde. Classe pura. Forse simile a Gascoigne come modo di interpretare il calcio: atipico,fuori dagli schemi,irriverente e geniale. Lo vidi trascinare a suo piacimento per il campo, avversari smarriti e frustrati, collezionare assist impensabili e giocate millimetriche. Un grande in assoluto, molto più di quanto non dicano i numeri finali di una carriera incompiuta e che avrebbe potuto e dovuto collocarlo tra i più grandi di sempre.
RispondiEliminaGrazie per il bellissimo commento e per essere passato qui :)
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