Stefano Pioli, allenatore del Milan (foto da Ac Milan.com) |
“Anatomia” di un tecnico capace ma fuori dal coro
Il diciannovesimo
Scudetto del Milan ha diverse paternità e competenze. Porta i nomi di Maldini,
Massara e Moncada, quello di Murelli e Bonera, di Gazidis e dei Singer, ma non
ultimo quello di Stefano Pioli, l’uomo che ha saputo trasformare in squadra un
gruppo di ragazzi e di anziani affamato di vittorie e in cerca d’Autore. Il
Mister che ha nobilitato il progetto Elliott e che ha condotto il Milan alla
conquista d’un titolo tanto desiderato quanto inaspettato. Pioli diventa
allenatore del Milan il 9 ottobre del 2019 subentrando all’esonerato Marco
Giampaolo. Nel Campionato 2020/21 porta il Milan al secondo posto (punti 79)
dietro l’Inter Campione d’Italia (punti 91). Prima di quest’anno non aveva mai vinto
nulla. Adesso, finalmente, è diventato “grande”.
L’ immagine nel tempo
Stefano Pioli non è
certo uno che le manda a dire ma non è neppure un guerriero che va in battaglia
senza motivo. Lui le cose te le dice in faccia, anche le più scomode, ma sempre
con grande educazione, rispetto e umiltà. Un signore d’altri tempi. Un
motivatore d’eccezione. Trattatelo bene e sarà buono come il pane; provocatelo
e vi ritroverete davanti un’altra persona. E’ il classico pacifista che va in
guerra solo se costretto. Pioli era così anche da giocatore e anche in quelle
vesti si è costruito e migliorato poco per volta nel tempo. Mai stato un
“mastino”, uno di quelli che si aggrappava alle caviglie dei centravanti senza
mollarli più. Distante anni luce da colleghi come Francesco Morini ad esempio,
il mitico e indimenticabile guerriero della Juventus anni ’70 passato alla
storia per i suoi memorabili duelli all’ultimo “sangue” con Roberto Boninsegna. Buon marcatore, Pioli, ma più comunemente uno
stopper eclettico e di classe che mordeva al bisogno e contro avversari che
scendevano in campo solo per maltrattare le altrui difese. Pioli appartiene a
quella nutrita cerchia di allenatori rossoneri che hanno saputo unire, in un
unico ceppo, negli anni, maestria, umiltà, buoni modi e fermezza. Non è
certamente un caso che parlando di lui vengano in mente altri grandi, ma molto flemmatici
e garbati allenatori del passato come Nils Liedholm e Carlo Ancelotti. Due che
hanno fatto la Storia del Milan e che col Milan sono diventati autentici
“Totem”. Due grandi Mister che hanno vinto Coppe e Campionati senza urlare ma
con la paciosità e la gentilezza che solo i grandi allenatori sanno
trasmettere. Liedholm sapeva parlare, affascinare e fare interi discorsi
tecnici e non tecnici per ore senza dire praticamente nulla. Un Maestro di
calcio in campo e fuori amatissimo da tutti. Ancelotti tra pane, mortadella e
culatello ha vinto tanto col Milan e non solo con il Milan e ha lasciato nella
Milano rossonera più che un segno della sua grandezza e della sua simpatia. Gli
unici paragoni impossibili se rapportati a Pioli ci sembrano quelli con Arrigo
Sacchi e Fabio Capello. Altre tempre, altri caratteri, altri modi di vincere e concepire
il calcio. Distante da tutti il grande Nereo Rocco. Un allenatore senza
paragoni ma immenso. Un “numero uno”.
Una crescita esponenziale
Diciamocelo con
franchezza. Quando Pioli subentrò a Giampaolo ereditando l’ennesimo Milan a
“pezzi” della gestione post berlusconiana, furono in molti, tra i tifosi
rossoneri e non solo, a storcere il muso. Pioli non è mai stato un nome altisonante
di quelli che riempiono pagine di giornali, bar, salotti televisivi e media. Inoltre
aveva la grande colpa d’aver allenato l’Inter. Capirete non un gran biglietto
da visita e men che meno una presentazione da ricordare. Molti pensavano che
Pioli potesse allenare solo squadre da mezza classifica. Meglio di Giampaolo
comunque, considerato, nella Milano milanista, un tecnico buono solo per allenare
compagini in lotta per la retrocessione o poco più. Eppure Stefano Pioli,
questo tecnico “sui generis” un po' “hippy” e un po' “naif”, non molto
appariscente e neppure “ruba” schermo, dal recente passato viola e nerazzurro,
modesto ma molto competente e in gamba, non vincente per definizione ma molto
studioso, ha saputo trasformare in breve tempo difetti e lacune riscontrati
nella rosa rossonera in pregi, voglia di vincere e virtù creando al contempo con
il lavoro, la preparazione e la grande pazienza un gruppo esemplare di amici in
campo e fuori motivato e ben costruito. Un gruppo da far invidia, oggi, ad
almeno mezzo Mondo pallonaro. Giocatori che in campo si aiutano e si sostengono
gli uni con gli altri senza arrendersi mai. Giocatori che non ci stanno a
perdere manco in allenamento. Progetti
di fuoriclasse creati in casa.
Le qualità
Pioli è un
allenatore capace, pignolo e molto perfezionista. Non ha mai vinto molto in
carriera e non ha mai raccolto quanto ha seminato; sa lavorare come pochi coi
giovani e sa mettere tutti nelle migliori condizioni migliori possibili per migliorarsi
ed eccellere. Tre nomi a caso: Theo Hernandez, Kalulu e Leao. Sono arrivati al
Milan da sconosciuti. Oggi sono Campioni veri. Umile ma deciso, saggio ma
imprevedibile, Pioli legge e prepara bene le partite ed è in grado di motivare
i propri giocatori come pochi altri colleghi sanno fare. Inoltre sa cambiare
schemi tattici e moduli di gioco non solo di partita in partita ma anche a
partita in corso. Emblematica la gara vinta all’Olimpico contro la Lazio di
Sarri, con Tonali spostato nel cuore dell’area avversaria a far gol, Krunic a lavorar
di legna sulla trequarti e Leao a seminare il panico nella corsia di
competenza. Le interviste di Pioli sono quelle del buon padre di famiglia,
sempre pronto a difendere i propri calciatori e ad evidenziare le qualità del
gruppo e dei propri dirigenti. Oggi possiamo ben dire che area tecnica ed area
dirigenziale del Milan sono cresciute e si sono perfezionate anno dopo anno,
giorno dopo giorno ma sempre insieme, sempre legate da un’unica globale e
perfettibile visione del calcio.
I “difetti”
Pioli non è mai
stato un tecnico eccessivamente pugnace, e neppure presuntuoso o arrogante; mai
stato di quelli che prendono il giocatore lavativo e lo sbattono contro le
pareti dello spogliatoio per dare un avvertimento al gruppo intero. Mai
aggressivo nelle interviste, al contrario, fin troppo umile, equilibrato e rispettoso
delle altrui opinioni, anche di quelle arbitrali. Mai una parola in pubblico
contro un arbitro o un calciatore. Rispettoso di tutto e di tutti. Per lui il
gruppo è sacro e lo ha sempre difeso con ogni mezzo disponibile. Tutto questo
negli anni lo ha portato sempre fuori dai riflettori, dai salotti e dagli
ambienti che contano. Ci voleva il Milan per migliorarlo e farlo vincere, ci
voleva una squadra che proprio come lui dalle ceneri del passato risorgesse a
nuova vita portandolo a vincere quello che non aveva mai vinto prima. Milan e
Pioli si sono vestiti a vicenda dello stesso abito e delle stesse ambizioni. Una
simbiosi perfetta, una di quelle alchimie che non passano inosservate e fanno
la Storia del calcio.
Claudio D’Aleo
Commenti
Posta un commento