Ritratti: Bruno Conti, quando il destino intercetta il fuoriclasse (di Claudio D'Aleo)

La storia “analitica” del Campione

Bruno Conti è nato a Nettuno il 13 marzo del 1955. Era alto 169 cm. e pesava 65 kg. Ha giocato nella Roma dal 1973 al 1975 (4 presenze, zero gol); dal 1976 al 1978 (46 presenze e 4 gol); dal 1979 al 1991 (254 reti, 33 gol). Campione del Mondo con la Nazionale italiana nel 1982, ha legato il suo nome a quello della Roma, con la quale ha vinto lo scudetto nel 1982-1983 e 5 Coppe Italia (1979-1980, 1980-1981, 1983-1984, 1985-1986, 1990-1991). In azzurro Conti ha giocato dal 1980 al 1986 totalizzando 47 presenze e 5 gol. Terminata la carriera calcistica, ha intrapreso quella dirigenziale entrando nei quadri della società giallorossa. Oggi è dirigente del settore giovanile giallorosso oltre che simbolo indiscusso dell‘intero movimento romanista.


Il Fuoriclasse allo specchio

Per Gianni Brera fu un “gatto che amava giocare col gomitolo di lana”. Per tanti altri fu più semplicemente MaraZico, il più sudamericano tra i calciatori italiani in quel tempo in attività. Brera stimava tantissimo Conti e vide in lui la giusta “combinazione” tra due grandissimi calciatori: Maradona e Zico. Maradona fu genialità, classe e “imprevedibilità”. Zico estro, “spietatezza” sotto porta e impeto. Il “mitico” Bruno è stato certamente uno dei calciatori più forti di tutti i tempi – 169 centimetri di classe pura – un “furetto” che, con i capelli al vento, il dribbling “micidiale” e un carisma  “essenziale” seminava il panico ovunque  prima di lanciarsi verso la porta avversaria. Conti racchiudeva in se tante doti e tante qualità, tutte tipiche del Fuoriclasse per antonomasia. Per quanti ebbero la fortuna di vederlo giocare , fu soprattutto “delicatezza”. Lui “recitava” coi piedi. Al pallone dava del “tu”. La grazia e la delicatezza del tocco di palla, di “quel” tocco di palla (più unico che raro), la classe immensa  che sprigionava ad ogni azione, l’ umanità che possedeva a piene mani, la simpatia da “romanaccio de Roma”, furono doti importanti che ne fecero il simbolo non solo della Roma “liedholmiana” di quegli anni ma anche di quel particolare momento storico vissuto dal nostro calcio.



Il 1982 fu l’anno dello Scudetto della Roma e del massimo splendore del nostro Campionato, ma fu anche l’anno in cui l’Italia “bearzottiana” si laureò Campione del Mondo in Spagna sbalordendo il Mondo. Conti fu protagonista assoluto in entrambi i successi. Roma fu “sua” per anni. La maglia azzurra pure.

Le caratteristiche del grande giocatore

Il Bruno giallorosso “danzava” in lungo e in largo nella fascia di competenza, la destra. Era tutto quello che il pallone desiderava un giocatore dovesse avere per farsi calciare e per innamorarsene perdutamente. Conti fu talento, estro, fantasia. Anche forza e generosità. Non era velocissimo ma fu  ugualmente  poco marcabile. Destra, sinistra, centro. Sgattaiolava ovunque e seminava il panico tra le maglie delle difese avversarie col suo incedere flemmatico e pungente. Il pallone, tra i suoi piedi, pareva di velluto. Era il pallone che cercava i suoi piedi, non il contrario. “Pescava” Roberto Pruzzo, Maurizio Iorio e Paulo Roberto Falcao ovunque fossero e con lanci al “bacio” anche da 40 metri. “Tracagnotto” e bassino stilisticamente era perfetto. Era l’elastico di quella magica Roma. Quella Roma si muoveva attorno a Falcao e a Conti. Ala, “regista”, mediano. Conti era tutto. Un moto perpetuo. Agile e imperioso nei guizzi non temette mai la classe degli altri suoi celebri compagni di squadra sia che giocasse nella Roma che in Nazionale. Lui, umile fino all’eccesso, la classe poteva solo regalarla. Ne possedeva in quantità industriali. Al contrario carpì dai suoi compagni al momento più famosi tutto quello che era giusto e lecito carpire per crescere e diventare un giocatore importante. Quello che poi divenne. Quello che poi si iscrisse, di diritto, nel firmamento del Calcio mondiale.

Quando il calcio si inorgoglisce e celebra se stesso

Conti ebbe la fortuna di giocare e di affermarsi in un Campionato ricco e pregnante dei migliori Fuoriclasse mondiali dell’epoca. Soltanto nella Roma giocò a fianco di Prohaska, Di Bartolomei, Giannini e Paulo Roberto Falcao. Si è misurato con Campioni celeberrimi come Platini, Matthaeus, Zico, Maradona e chi più ne ha più ne metta. Ha vissuto il grande calcio pragmatico di Bearzot e quello concettuale e “zonaiolo” di Liedholm. E’ stato allenato da uomini “padri di famiglia” prima ancora che da grandi allenatori. Incubo delle difese avversarie una volta lanciato in velocità palla al piede, maestro nel dribbling, difficilmente indugiava in soste. Fu la fortuna di Roberto Pruzzo, il mitico “O’ Rey” de Crocefieschi, che con i cross di Conti costruì in giallorosso la sua fortuna segnando caterve di gol (240 presenze dal 1978 al 1988, 106 reti). Conti ha saputo supplire con il talento, la passione e il tanto lavoro ad un fisico certamente non esplosivo. La delusione più grande fu il rigore sbagliato nella finale di Coppa dei Campioni del 1984 contro il Liverpool.  Succede a chi si nutre di calcio e dei valori provenienti dalla propria “bandiera”. Conti è stato poeta e cantore di una “romanità” romantica e “disincantata”. Ha vissuto Roma e la Roma come un narratore di versi mai recitati abbastanza. Ha scritto e vissuto, pagina dopo pagina, il romanzo di se stesso. Gli esordi nelle giovanili del Nettuno, il trionfale Scudetto conquistato con la maglia giallorossa, il titolo di campione del Mondo e, dopo l’addio al calcio, i grandi risultati raggiunti come responsabile del settore giovanile romanista. Tappe fondamentali di una biografia dedicata a un calcio che non c’è più. Uno sport dal sapore antico di cui Bruno Conti è stato e resta un personaggio inimitabile e insostituibile.

Claudio D’Aleo

Foto dalla mia collezione di Guerin Sportivo

Commenti

  1. "La delusione più grande fu il rigore sbagliato nella finale di Coppa dei Campioni del 1984 contro il Liverpool".
    Provai un dolore immenso. Per me una squadra italiana che vince la Champions è una festa.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ti fa onore la tua sportività Gus! A me invece risulta difficile tifare per un'italiana in Champions che non sia il Milan

      Elimina
  2. Da non dimenticare che fu grazie a quel suo gol al Perù che passammo il primo turno ai mondiali di Spagna....

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Davvero, un gran bel gol (avevo anche il disegno da pubblicare, ma me lo tengo da parte per un futuro post sui gol disegnati dell'Italia al mondiale '82!)

      Elimina

Posta un commento