Fabrizio Ferron: il portiere silenzioso. L'essenzialità al potere


Tra la fine degli anni '80 e l'inizio dei '90 la scena dei portieri italiani fu occupata dal dualismo tra due personaggi istrionici, televisivi: Walter Zenga dell'Inter e Stefano Tacconi della Juventus. Alle loro spalle "cresceva" il talentuoso Pagliuca della Sampdoria. Ma la scuola italiana dei portieri, un'eccellenza in quel periodo, aveva altri ottimi esponenti. Uno era Fabrizio Ferron, dell'Atalanta.

Classe '65, originario di Bollate, nel milanese, Fabrizio Ferron era un atleta che non amava i fari della ribalta. Tranquillo e mai sopra le righe, il suo carattere rifletteva anche lo stile in porta. Sobrio, essenziale, efficace; raramente si produceva nell'intervento spettacolare, per i fotografi. Dava sicurezza al reparto difensivo e commetteva pochi errori. Ferron era cresciuto nel vivaio del Milan: con la primavera rossonera vinse una Coppa Italia e  fu insignito del titolo di miglior portiere della Coppa Viareggio del 1986. Pare che fosse stato lo zio, nel bar di famiglia, a leggere che il Milan aveva organizzato una selezione di giovanissimi talenti. Ferron entrò nel vivaio rossonero a 9 anni, arrivando appunto fino alla primavera, ma la società non ebbe fiducia in lui. L'estremo difensore milanese fu costretto a ripartire dalla Serie C, alla Sambenedettese, alla scuola di un grande preparatore, Piero Persico, l'uomo che aveva forgiato anche Walter Zenga. Ferron si impose come titolare e attirò l'attenzione dell'Atalanta, che lo ingaggiò nell'estate '88 come vice di Ottorino Piotti, portiere che aveva trascorsi proprio nel Milan. Un infortunio di Piotti permise a Ferron di esordire in Serie A nel campionato 1988-89, al San Paolo di Napoli, nella prima giornata: subì una rete irregolare, segnata da Giacchetta con un tocco di mano. Da allora, con l'Atalanta è stato un matrimonio lunghissimo: sette stagioni in Serie A e una in Serie B, dal 1988 al 1996, per un totale di 253 presenze. Non fu mai considerato per la nazionale, mentre fu spesso al centro delle voci di mercato. Ma nulla si concretizzò.

Ferron intanto si toglieva anche delle soddisfazioni personali: nel campionato 1990-1991 l'Atalanta sconfisse 1-0 il Milan di Sacchi a San Siro. Fece gol Evair, ma soprattutto Ferron chiuse la saracinesca, parando tutto e spiccando anche per la sicurezza nelle uscite alte. E fu proprio questo aspetto che il portiere volle sottolineare, nelle interviste post partita: il fatto di aver disinnescato i forti colpitori di testa rossoneri. Ferron mantenne però sempre una grande umiltà. Lavorava in allenamento con grande intensità e in partita manteneva sempre alto il livello di concentrazione. A differenza di altri portieri non è mai stato scaramantico: disse, in un'intervista, "Tra i pali vado io, non la maglia o i guanti", facendo riferimento ai "colleghi" che dopo una disfatta erano soliti cambiare colore della maglia o addirittura modello di guanti. A proposito, Ferron non si tirava mai indietro quando i bambini raccattapalle, a fine partita, gli chiedevano in regalo maglie e guanti. Era stato anche lui, da bambino, dall'altra parte della barricata. Rendere felici quei bambini rendeva felice anche lui. Appassionato di tennis e di televisione, un po' pigro secondo quanto raccontava la moglie, Ferron è stato un portiere grande esempio di professionalità. Nell'estate del 1996 lasciò a sorpresa l'Atalanta per accasarsi alla Sampdoria, che cercava un portiere per sostituire Walter Zenga. L'esperienza in maglia blucerchiata si concluse con un'amara retrocessione in Serie B e con il successivo passaggio all'Inter, come vice Peruzzi.

Ferron nella Sambenedettese

Dopo un anno Ferron tornò a giocare titolare a Verona e fu una seconda giovinezza per lui. Due stagioni in Veneto e due a Como, per poi chiudere a 40 anni prima come vice Pagliuca a Bologna, infine tra i dilettanti della Virtus Pavullese. Oggi Ferron allena i portieri delle giovanili azzurre. Siamo sicuri che saprà forgiarne le doti, ma soprattutto insegnare loro a essere uomini. Perchè tra i pali non ci va una maglia, non ci vanno i guanti, ma un portiere. Un uomo. Come Fabrizio Ferron: un esempio fulgido di correttezza e sportività.

Commenti

  1. I portieri di una volta, quelli si che erano portieri, che parare dovevano e lo facevano alla grande. Nel calcio di adesso dimentichiamo che i portieri quello devono fare.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Al di là dell'abuso del gioco con i piedi, per me i portieri di oggi sono proprio peggiorati nei fondamentali del ruolo...

      Elimina

Posta un commento