Robert Enke, indimenticato numero 1

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Consideriamo spesso i calciatori come persone capricciose e inaffidabili, ragazzotti strapagati pieni di vizi e di poche virtù.
Non è così.
Ci sono infatti anche professionisti stimati, seri, buoni padri di famiglia.

Robert Enke era uno di loro.

Calcisticamente parlando, la storia del portiere tedesco è simile a quella di molti altri suoi "colleghi": cadute e riscatto. La ribalta da giovanissimo, tra i pali del Borussia Monchengladbach. Il trasferimento all'estero, in club prestigiosi quali il Benfica e il Barcellona. I trionfi e gli insuccessi. Le panchine e il ritorno in patria (dopo un'esperienza al Fenerbache, in Turchia). All'Hannover una vera e propria rinascita. La fascia da capitano, il ritorno in nazionale. L'investitura a portiere titolare della Germania.

La storia di Robert Enke non ebbe purtroppo il lieto fine. Non solo sportivo.

Si tolse la vita, dodici anni fa, segnato da una grave tragedia familiare e dalla depressione.

Enke soffriva in silenzio la sua malattia. Era amico di un giornalista, Robert Reng. Lo precettò per scrivere la propria biografia, a fine carriera, probabilmente per esorcizzare quel demone che non lo aveva abbandonato. Quella biografia, purtroppo, non fu mai scritta. Reng allora pubblicò "Una vita troppo breve: la tragedia di Robert Enke". Volle ricordare così l'amico. "Raccolse un'enorme quantità di forza per chiudersi nella sua malattia, nascondere la depressione". Questo perché un calciatore non poteva essere depresso, soprattutto il portiere, colui che ricopre il ruolo più delicato in campo.

La scomparsa di Robert lasciò un vuoto incolmabile. Calcisticamente, lasciò la sua eredità a un giovane portiere, Manuel Neuer, che negli anni divenne uno dei più forti della storia del calcio, trascinando la sua squadra di club (Bayern Monaco) e la stessa nazionale tedesca a vincere tutto. Nella prima partita della nazionale, dopo la tragica scomparsa di Robert, Neuer giocò dal primo minuto con la maglia n.12. La n.1, con il cognome Enke, fu deposta sulla panchina, a ricordo dell'uomo che con il suo sacrificio aveva mostrato, al dorato mondo del calcio, la vera vita, quella fatta di gioie e dolori, di prove e ostacoli, di desideri e sogni, ma anche di vuoti difficili da colmare. 

Dio di misericordia
Il tuo bel Paradiso
L'hai fatto soprattutto
Per chi non ha sorriso
Per quelli che han vissuto
Con la coscienza pura
L'inferno esiste solo
Per chi ne ha paura
(Preghiera in gennaio, Fabrizio De André)

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